L’onestà e la saggezza professionale hanno sempre contraddistinto il percorso artistico di Giusy.
Spesse volte, intervistata da giornalisti televisivi e critici musicali della carta stampata – a tal proposito ricordo un’intervista rilasciata alcuni anni fà alla collega Maria Paola Masala, curatrice della pagina cultura e spettacolo del quotidiano “L’Unione sarda”, a margine di uno dei suoi masterclass di canto lirico che annualmente teneva al Conservatorio di musica G.L. da Palestrina – , affermava (e anche alla collega confermò) che la sua carriera era stata caratterizzata dall’aver detto molti nò che sì a importanti registi, impresari teatrali, direttori d’orchestra che le proponevano di cantare parti che, pur desiderando in cuor suo affronatare, non sentiva ancora sue. Disse infatti un nò sofferto – ma ponderato – al produttore Patroni Griffi e al regista Anderman, quando preliminarmente le chiesero, nel 1991, dopo il grandissimo successo personale ottenuto alle Terme di Caracalla nel famoso concerto “le 7 Regine della lirica”, di interpretare il ruolo di Floria Tosca nella bella produzione che venne poi trasmessa in diretta televisiva mondovisione (con Placido Domingo, Ruggero Raimondi e Catherine Malfitano). Giusy nelle sue decisioni era convinta e fermamente determinata; disse certamente altri nò ad altri direttori artistici, registi teatrali negli anni successivi quando le venne prospettato di sostenere ruoli un pò – per così dire – vocalmente pesanti. Mi diceva spesso che una buona carriera di un cantante lirico si costruisce ponderando al massimo le scelte di repertorio e ben valutando le proprie risorse vocali. E aveva ragione da vendere. Lei è sempre stata professionalmente seria e onesta e soprattutto alquanto accorta e misurata nel decidere come negli anni a venire doveva evolversi il suo percorso artistico.
Lanfranco
Nella fase centrale della sua carriera artistica, Giusy – assecondando il naturale sviluppo e la naturale estensione della sua voce verso un repertorio più lirico e drammatico , pur mantenedone le peculiari caratteristiche di agilità -,interpretò (come già detto in precedenza) con successo di pubblico e di critica, alcune importanti regine donizettiane ed eroine belliniane che lei sentiva sue soprattutto per l’intensità drammatica che tali personaggi emanavano (voglio citare Anna Bolena, Maria Stuarsa, Maria di Rohan e Giulietta di Capuleti e Montecchi di V. Bellini). Si dedicò anche, con particolare dedizione alla definizione dei necessari approfondimenti psicologici, allo studio di diversi ruoli pucciniani, quali Mimì di Bohème, Liù di Tutandot e Suor Angelica, soggiogata – come sempre era stata – dal fascino di quella magica musica .Era l’estate del 1997, allorquando il Teatro dell’Opera di Roma – temporaneamente privato della distonibilità del celebre teatro all’aperto delle Terme di Caracalla – decise di organizzare diverse recite di Turandot, opera tradizional-popolare e di sicuro richiamo di pubblico. che vennero rappreesentate nella cornice dello stadio Massimo Flaminio e con un cast artistico stellare che fra i protagonisti proncipali comprendeva il collaudatissimo tenore Nicola Martinucci (Calaf), la soprano Alessandra Marc (principessa Turandot) e Giusy (che debuttava il ruolo di Liù), diretti dal grande M° Daniel Oren e con la regia di Giuliano Montaldo.Per la cronaca la prima recita venne trasmessa in diretta su Radio 1 e furono tanti i melomani estimatori di Giusy che si sintonizzarono su quel canale-radio.Io in quel Luglio del 1997 fui molto fortunato – trovandomi a Roma per lavoro – a riuscire ad assistere allo spettacolo grazie ad un biglietto per un posto in piedi racattato all’ultimo momento (allo stadio infatti si era registrato il tutto esaurito per tutte le recite on programma). Ricordo che era una serata molto calda, ma la gioia e la curiosità di ascoltare per la prima volta Giusy-Liù era tanta e pertanto arrivai sul posto con un largo anticipo nella speranza di trovare almeno un angolo vicino al palcoscenico in cui stare. Ciò nonostante alle 18 del pomeriggio lo stadio era già quasi pieno e quindi mi rassegnai ad attendere l’inizio dell’opera seduto sopra un cuscinotto di emergenza vendutomi da un bagarino.Fu davvero una grande emozione ascoltare Giusy nella sua prima aria “Signore ascolta”; l’interpretrò con grande pathos e con tanta espressività, dando senso alle parole cantate e, allo stesso tempo, calandosi appieno scenicamente nel personaggio della giovane Liù che per amore del suo Calaf si sacriferà sino alla morte; successivamente la sua applauditissima esecuzione della famosa “Tu che di gel sei cinta”, si rilevò un capolavoro di bravura; in questa circostanza Giusy diede veramente un saggio su come si vive sulla scena un personaggio, risolto vocalmente con preziose filature, sapienti modulazioni dei fiati e vibrante intensità emotiva, corrispondendolo nella sua tipica drammacità. Il pubblico seguì in rispettoso silenzio l’esecuzione salutata da fragorosi applausi. Liù, assieme alla Mimì di Bohème, riservò alla nostra artista tante soddisfazioni nel particolare ambito pucciniano, tant’è che le venne riproposta l’anno successivo al Teatro Regio di Torino.
Lanfranco
Fra me, mia moglie Anna Rita, con Giusy e Francesco e i suoi cari familiari, c’è stata una bella amicizia, stima reciproca per oltre venti anni. Mi ricordo la prima volta che la sentii cantare: era il 1980 a Tempio Pausania nella circostanza di un anniversario della morte del grande tenore sardo tempiese di fama internazionale – considerato da molti l’epigono di Enrico Caruso.Vi fu un bellissimo concerto lirico-vocale, con la partecipazione di molti cantanti lirici sardi (oltre a Giusy, che cantò divinamente, scatenando l’applauso del festoso pubblico presente in sala e il futuro marito Francesco Musinu, Loredana Putzolu, Maria Casula, Maria Luisa Garbato, Salvatore Sassu, Mario Luperi,Gianni Mastino, accompagnati al pianoforte dalla prof.ssa Mariella Longu. Di quella magnifica serata venne registrato dall’editore Bongiovanni di BO, un LP che abbiamo ancora gelosamente custodito nei nostri archivi. Rimasi, assieme a tanti altri amici presenti, subito sbalordito e colpito della grande attitudine al virtuosismo belcantistico che la pirotecnica voce di Giusy possedeva; il tutto con una estrema disinvoltura e sicurezza nel porgere le parole cantate e con già eloquente tecnica….La bella iniziativa di ricordare Berenardo Demuro con questo concerto fu del compianto ing. Antonino Defraia – stimatissimo scrittore di importanti e interessanti testi sullo stesso B. Demuro, sul tenore cagliaritano Mario De Candia e sul tenore Manurita – che curò le note di copertina del disco.Con Giusy siamo stati sempre a contatto anche telefonico, allorquando stava frequentamente all’estero, impegnata interprete di tante eroine del suo ammirevole repertorio. Era sempre tanto gentile e tanto dolce con noi, ma, allo stesso tempo, molto severa con se stessa. La sua natura l’ha portata a diventare un’artista eccezionale e straordinaria alla quale, a differenza di qualche sua collega, non piaceva tanto “apparire”, bensì “essere” . Sia questo allora d’esempio per i suoi numerosi e amati allievi di canto, ai quali, con tanta passione e disponibilità disinteressata ha voluto elargire in 16 anni di masterclass – effettuati al Conservatorio di Cagliari -, per iniziativa del Lions Club Cagliari-Villanova, preziosi insegnamenti tecnici e tanti, tanti consigli su come si deve cantare.Grazie ancora carissima Giusy.
Lanfranco e A.Rita
“Quando agli inizi degli anni 1980 apparve sulla scena, Giusy Devinu, allora soprano lirico di coloratura, venne accolta come un sorta di ciclone, una grande rivelazione, un fenomeno.
Come dimenticarsi delle sue meravigliose agilità dei suoi sopracuti, veri e propri voli pindarici…, miracoli virtuosistici che lasciavano di stucco i suoi colleghi, gli addetti ai lavori e in particolare gli spettatori e i suoi tanti ammiratori…
E come dimenticare il suo viso, il suo incedere felpato sulla scena, i suoi occhi; quegli occhi luminosi, immensi e dardeggianti su quel fisico minuto.
Come dimenticare la sua determinazione, la sua tenacia, la sua dedizione profonda verso la musica, lo studio teso alla ricerca della perfezione; come dimenticare, ancora, la sua dolcezza nel proporsi, il suo rispetto verso i colleghi, gli amicio cari, ma, anche, la sua delicata riservatezza..
Come dimenticare il suo infinito amore per il compagno della sua vita, Francesco, per i suoi carissimi genitori, sorelle e fratelli e per tutti i familiari.
Sono stati – i nostri – oltre 23 anni di amicizia profonda e sincera; la sua carriera internazionale fu costellata – come tutti sappiamo – di numerosi successi di pubblico e di critica; ciò nonostante lei rimaneva sempre con i piedi per terra, semplice, umile, leale con tutti, antidiva per eccellenza e carissima amica pronta a condividere con noi – anche da lontano allorquando si trovava all’estero -, gioie, soddisfazioni artistiche ed anche momenti di riflessione e di tristezza…
Poi, agli inizi del 2001, il sipario cadde improvvisamente col sopravanzare della impietosa malattia alla quale non si rassegnava, non lasciandosi soggiogare, non perdendo fiducia in se stessa, non temendo di avere energie e forze sufficienti per sopportare il male, anzi, combattrè la sua battaglia cercando in tutti i modi di reagire con la volontà ferrea di perpetuare la sua arte attraverso l’insegnamento del canto.
Lei, della natura della sua malattia non parlo’ probabilmente con nessuno, tantomeno con noi. Desiderava infatti che i tanti amici non si preoccupassero per il suo stato di salute che peraltro riusciva a mascherare con la sua ferma volontà di VIVERE e di continuare a trasmettere emozioni.
Questo è stato per noi il Suo più grande INSEGNAMENTO”.
Lanfranco e Annarita
Giusy Devinu è Mimi’ nella Bohème di G. Puccini
Giusy nell’arco della sua breve ma sfolgorante carriera si avvicinò con estrema cautela, ma con la necessaria determinazione, al personaggio di Mimì della Bohème di G. Puccini che interpretò (debutto) nell’estate del 1994 allo Sferisterio di Macerata e, successivamente, al teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, allo Staatsoper di Vienna ed infine – al termine del suo percorso artistico – al Campos Real di Oviedo (Spagna).
La sua viene considerata dal sottoscritto come una una Mimì affrontata e risolta sulla scena con uno stile personalissimo, colmo di nuances, di intimità e di delicatezza nel narrare le soavità e le nevrosi della malata d’ etisia.
Una Mimì di grande lirismo idilliaco che vien fuori nell’interpretazione delle sue due arie principali (ma anche nei duetti con Rodolfo), dove riesce a trovare accenti, ripiegamenti e morbidezze di grande suadenza.
Credo che un attento ascolto della documentazione audio/video live amatoriale raccolta dal sottoscritto in questi ultimi anni, possa testimoniare quanto sopra espresso.
Lanfranco
Oggi desidero volentieri parlare di Francesco Medda, artista lirico cagliaritano attualmente di stanza a Milano.
Ha iniziato con successo la sua carriera teatrale prima come baritono, poi, e dunque attualmente, grazie agli insegnamenti e ai consigli tecnici dispensatigli dal Mitico Carlo Bergonzi, come tenore. E che tenore…
Conoscendolo e apprezzandone le peculiari qualità vocali e anche umane, posso dire,senza esitazione alcuna,che Francesco Medda rappresenta una sorta di eccezione che non si esaurisce in termine di spessore, potenza e volume, ma coinvolge quella straordinaria virtù che è l’equilibrio dei registri, la freschezza e la solidità del suono dinnanzi a qualsiasi periglio.
Oggi, nel pieno della maturità artistica, può vantare risultati eccellenti se si pensa al fatto che, oltre a Otello, Calaf di Turandot. Manrico di Trovatore, Mario Cavaradossi di Tosca, Don Josè di Carmen, Canio di Pagliacci, Turiddu di Cavalleria rusticana, interpretati con successo di pubblico e critica nei maggiori teatri di provincia nazionali ed europei, si accinge a debuttare il non facile ruolo del bandito Dick Jhonson della Fanciulla dell’West.
Rarità la voce del tenore lirico spinto e drammatico, ma non troppo… Molto spesso, da parte dei responsabili artistici di tanti teatri italiani (in particolare aggiungerei senza esitazione di alcune Fondazioni liriche) non ci si accorge (o si fa finta di non accorgersene..) di quel che è a portata di mano, per un innato senso di diffidenza verso tutto ciò che esula dalla normalità, ma, comunque, osservando i cartelloni di questi teatri dove alcuni prototipi tenorili vengono sovente utilizzati male ed altri rispecchiano una ricorrente (purtroppo…) mentalità a preferire ciò che viene da lontano; viene da chiedersi come mai una voce, una presenza, una musicalità come quella del nostro conterraneo artista non trovino spesso meritato inserimento, inserimento che colmerebbe lacune e premierebbe maggiormente una carriera, in ogni caso, destinata a concretarsi sempre di più, stando alle impressioni e alle previsioni di coloro (maestri, esperti, pubblico, critici musicali) che l’hanno potuto ascoltare e giudicare dal vivo.
I precedenti di Francesco sono di fatto di tutto rispetto tanto di accereditarlo – oggi – fra le forze più vitali del teatro italiano.
Una voce pastosa, sicura, estesa che sa concedersi al piacere del legato, tecnicamente affidabile, grazie ad una scuola – soprattutto quella del M° Bergonzi -, che gli consente il fraseggio, facendogli trovare le giuste posizioni.
L’augurio più sincero è che Francesco Medda possa continuare ad assicurare al rtepertorio drammatico la continuità interpretativa conservandone la dimensione vocale.
Lanfranco
L’arte e lo spettacolo ci servono (lettera aperta a Scarpa, Bocelli, Baricco e Ceronetti)
“Questo nostro tempo, certamente verrà ricordato come un periodo buio, per l’attenzione che si riserva all’offerta culturale in genere. L’Italia, che come sappiamo ha sempre speso percentualmente pochissimo rispetto alle altre più importanti nazioni europee nei campi della cultura e dello spettacolo, sembra messa in ulteriore drammatica difficoltà da scelte precise di redistribuzione dell’indotto fiscale. Sono scelte .. certo .. Viviamo in uno stato che, cerca , non senza difficoltà di promuovere grandi gruppi imprenditoriali , cercando attraverso essi, di rivaleggiare con le grandi e fino a poco tempo fa , insospettabili potenze economiche emergenti. Quasi tutte le risorse a fondo perduto vengono destinate ai momenti di difficoltà dei grandi mostri del settore auto , trasporti, tecnologie . Industrie che è bene ricordarlo , si guardano bene dal restituire i dividendi nei periodi di ”vacche grasse”. Certo , tante famiglie di lavoratori sono coinvolte, il lavoro deve essere rispettato e noi siamo in linea e al loro fianco sempre. ma perchè le stesse attenzioni, la stessa vicinanza ai problemi, alle vicissitudini che abbiamo verso i lavoratori delle grandi aziende private, non dovremmo averla per le sarte, macchinisti, coristi, orchestrali, amministrativi ect. che tengono in vita, col loro prezioso, necessario lavoro, i nostri teatri? Perchè i teatri, è il caso di ricordarlo, sono anche e soprattutto luoghi dove la gente lavora. Questa moltitudine di lavoratori specializzati , permette ai grandi capolavori della storia di non essere sepolti nell’oblio ma di rivivere, come per magia, ogni qualvolta quel rosso, grande sipario si apre per offrire il ”miracolo” delle emozioni. Eppure, la meraviglia degli occhi, che si incantano nel vedere una scenografia o nel sentire dal vivo una musica sublime, non sembra sufficiente a giustificare una scelta di campo e soprattutto dei significativi investimenti. Non è solo spettacolo, men che meno , intrattenimento . Se fosse solo questo , sarei io il primo a inneggiare all’impresariato e all’ autosostentamento. Quello che succede all’interno dei nostri pubblici teatri è qualcosa di molto più complesso . Un ‘ opera , una sinfonia o un balletto non possono vivere autonomamente , fanno parte della nostra stessa coscienza collettiva e richiedono il massimo rispetto e il migliore impegno affinchè possano prendere vita ed essere rappresentate al meglio . Se non saremo più in grado di fare questo , purtroppo, assisteremo inerti a ciò che gia da tempo è cominciato . Renderemo L’Italia , terra di conquista culturale. Un serbatoio inesauribile d’arte da offrire a libero servizio senza regole e senza alcun prezzo d’acquisto. Guarderemo il progressivo , quanto inesorabile decadimento del nostro patrimonio identitario , mortificato e svenduto ad uso e consumo di quanti sorrideranno della nostra ingenuità . Ma più ancora, e non è un volo astratto, è, nei luoghi deputati che vive la nostra identità culturale. Non c’è teatro al mondo che non abbia la sua stagione, piena di titoli di autori italiani. Se all’estero ancora ci amano, non è perchè siamo chiassosi e ridanciani o perchè abbiamo anche inventato la pizza: ci rispettano perchè abbiamo fondato una civiltà sull’arte e, credetelo, è una cosa eccezionale. Abbiamo avuto il rinascimento per la pittura , tutto nostro.. che fortuna! ..Abbiamo inventato il melodramma e poi, tra l’800 e il ‘900, sono stati scritti capolavori che sopravviveranno a qualsiasi governo. Siamo pieni di storia antica che testimonia, con le sue opere d’arte, che il territorio italiano non ha mai rinunciato ad esprimersi ai massimi livelli artistici. In tempi più recenti, il design italiano è diventato sinonimo di bellezza e di stile. La moda italiana, per esempio, ci consente di essere guardati con una certa ammirazione e rispetto in qualsiasi posto del mondo. Abbiamo avuto tutto questo in eredità ed è nostro dovere custodirlo con un grado minimo di decenza. L’economia globalizzata potrebbe far morire le nostre aziende, considerato che nessuno di noi è disposto a lavorare 18 ore al giorno per 20 euro di paga. Tutti i nostri grandi imprenditori investono all’estero perchè la forza lavoro conviene. In questo contesto economico, è molto difficile investire in generale. Tutti sono immobilizzati dalla paura, non c’è prodotto o innovazione che non vengano replicati e messi sul mercato in tempi brevissimi, ad Hong Kong o in Brasile, per un prezzo almeno dimezzato. Dobbiamo prendere coscienza, prima che sia tardi, di che cosa siamo in grado di fare e in quali campi possiamo realmente essere competitivi o addirittura unici. I dolorosi articoli di Guido Ceronetti, Tiziano Scarpa e purtroppo anche di Alessandro Baricco e Andrea Bocelli, non aiutano il pensiero comune ad evolvere verso una direzione che restituisca all’Italia all’estero un immagine vincente ed evoluta”
Alberto Gazale (baritono)
Fra le tante voci liriche appartenenti alla nuova generazione e facenti parte a pieno titolo del patrimonio artistico della nostra terra di Sardegna, mi preme oggi segnalare quella del soprano Rossana Cardia, nata a Villasimius, attualmente di stanza a Pesaro e segnalatasi qualche anno fa al Teatro dell’Aquila di Fermo come straordinaria interprete di Violetta accanto al mitico baritono Renato Bruson.
Da allora alla nostra cantatrice si sino aperte le porte di numerosi teatri europei, dove ha riscosso meritati successi di pubblico e di critica quale applaudita interprete di diversi ruoli (Traviata, Trovatore, Butterfly, Ballo in Maschera, etc) appartenenti al suo repertorio di soprano lirico pieno.
Passa normalmente per luogo comune affermare che per il palcoscenico si nasce, ma la conferma, stonata per chi abiura le vocazioni, la può fornire proprio questa nostra giovane cantante capace di dominarlo e di disporne a suo piacimento per l’affermazione di una personalità vocale e interpretativa da più parti osservata con stupore e con una certa incredulità tenuto anche conto dei pochi anni di carriera.
Grazie a Bruson e alla Kabaiwanska e soprattutto grazie alla nostra indimenticabile conterranea soprano Giusy Devinu, che agli inizi degli anni 2000 ne plasmò con i suoi preziosi insegnamenti l tecnica e lo stile di canto, ci ritroviamo oggi davanti ad una nuova stella capace di brillare di luce propria e di raggiungere traguardi di particolare imprtanza con l’arma vincente del canto totale e della personalità aperta alla sfida.
Da segnalare – come prossimi impegni artistici della nostra giovane Rossana, recite di Trovatore in Germania e il successivo debutto in Aida.
Lanfranco
Grande successo personale il 31 Gennaio allo Staatsoper di Vienna per il nostro conterraneo tenore Francesco Demuro.
Lo Staatsoper è un teatro bellissimo, storico e importantissimo, dove si rappresentano opere, balletti e concerti sinfonici in tutto l’anno; si può affermare dunque sia il tempio della musica, in esso infatti ogni giorno la si respira.
Qui si sono esibite negli anni passati e tuttora si esibiscomo le migliori voci liriche internazionali, le più prestigiose bacchette direttoriali e vengono messe in scena opere appartenenti sia al repertorio tradizional-popolare italiano sia a quello francese, tedesco e russo, Il nostro Francesco si è cimentato nel non facile ruolo di Rodolfo della Bohème di Puccini (con una compagnia di canto stellare, che comprendeva fra gli altri la grande soprano Inva Mula) e per la cronaca l’appuntamento costituiva il suo debutto ufficiale allo Staatsoper. Magnifica la sua prova, accolta positivamente dall’esigente e attento pubblico viennese. Il suo è stato un Rodolfo appassionato, intenso, vocalmente e scenicamente convincente e capace di suscitare emozioni. Solitamente Francesco, prima di entrare in scena si affida alla sua musa ispiratrice, la nostra indimenticabile Giusy Devinu, che, come sappiamo proprio agli inizi della sua avventura di cantante lirico, ascoltandolo, gli presagì una luminosa carriera artistica. Sì, la nostra Giusy che proprio su quel prestigioso palcoscenico seppe negli anni 1990 conquistare quello stesso pubblico sublimandolo col suo nobile canto in diverse edizioni di Traviata, Elisir d’amore, Bohème, Rigoletto e Lucia di Lammermor. Prossimo impegno artistico del tenore Francesco Demuro: Traviata – Varsavia
Lanfranco Visconti